lunedì 6 giugno 2016

I protagonisti dell'assistenza raccontano lo stress lavoro-correlato


A Exposanità 2016 abbiamo organizzato un incontro per parlare di stress lavoro-correlato e di burnout, avendo la sensazione che sia un problema avvertito da molti, soprattutto da chi svolge una professione di cura, e al contempo poco discusso (per leggere i contenuti dell'intervento e guardare il video dell'incontro clicca qui).
Prima del workshop abbiamo voluto passare la parola agli operatori dell’assistenza nelle strutture sociosanitarie, che hanno raccontato cosa vuol dire avere a che fare tutti i giorni con situazioni di sofferenza e di accompagnamento alla morte, quali sono le cause maggiori di disagio e stress e quali strategie mettono in atto per prevenire il burnout


Per rinfrescare la memoria: le quattro fasi del burnout
Il primo segnale di pericolo, ovvero la prima fase di burnout, è un entusiasmo idealistico che la persona può provare all’inizio del proprio lavoro, ancor più se si tratta di una professione di cura: ci si sente attori di un’opera di salvezza verso l’assistito e questo basta a sentirsi soddisfatti e gratificati. La realtà, però, è differente e, soprattutto per chi si occupa di anziani e malati terminali, non ammette alcuna possibilità di miglioramento. Quello che viene richiesto è l’accompagnamento al fine vita, non una guarigione.
Di fronte al sogno che svanisce, l’operatore può iniziare a provare un disagio crescente che nasce dalla discrepanza fra i suoi ideali e quello che vede ogni giorno. S’insinua in chi lavora il dubbio che, in fondo, ogni suo sforzo sia inutile, non portando a nessun progresso manifesto. In tal modo, si entra nella seconda fase di burnout, la stagnazione. 
Il disagio emerge con chiarezza nella terza fase, la frustrazione, caratterizzata dal senso di colpa, spesso all’origine di atteggiamenti aggressivi nei confronti di colleghi e assistiti. Si percepisce unicamente il proprio fallimento, non solo sul lavoro, ma anche come persona. Non potendo accettare di essere noi stessi il cuore del problema, proteggiamo il nostro vacillante senso d’identità attaccando l’altro, che diventa il nostro nemico. è la fase in cui il carico emotivo accumulato nel tempo diventa un peso sempre più difficile da sostenere.
Quando gli strumenti che abbiamo a disposizione ci sembrano del tutto inefficaci, cerchiamo un’ultima difesa in uno stato di apatia, ovvero la quarta e ultima fase di burnout. Le richieste che arrivano dagli assistiti, ma anche dai colleghi o dai parenti, vengono avvertite come eccessive e non si hanno le forze necessarie per formulare una risposta adeguata, nella rassegnata convinzione che nessun’azione possa essere in qualche modo utile, avendo escluso ogni possibilità di successo.

Le video-interviste
Abbiamo intervistato 15 persone, in maggioranza OSS ma erano presenti anche alcune RAA, realizzando video di circa mezz’ora ciascuno. Le domande poste erano di carattere generale, in modo che ognuno potesse trovare lo spazio per raccontare la propria esperienza. Gli incontri sono avvenuti in gruppo, oppure singolarmente.
In questo video abbiamo riassunto quello che hanno detto gli intervistati, suddividendo le testimonianze per argomenti: il fine vita, la relazione con i colleghi, la relazione con i parenti degli assistiti, le conseguenze dello stress sull’ambiente di lavoro e due esperienze di burnout.


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