mercoledì 6 aprile 2016

Gli anziani (…e le anziane) e le malattie da farmaci: combattere l’indifferenza, imparare dagli errori e tornare a sentire “l’odore delle pecore”

A cura di Ferdinando Schiavo

"Sbagliare è umano… ma si può imparare dall’errore. Tenuto nascosto, l’errore può ripetersi e tuttavia, se viene affrontato e discusso, perde la sua potenzialità negativa: l’errore diventa pedagogico!"

L’argomento delle “malattie da farmaci” è attuale e coinvolgente e lo sarà sempre di più in quanto la popolazione più a rischio, gli anziani, è in continuo e progressivo aumento.
Su questo sfondo di invecchiamento della popolazione mondiale, la maggiore sopravvivenza delle donne (aumento della speranza di vita) le espone ulteriormente, rispetto agli uomini, a un tasso di fragilità più estesa a causa delle più frequenti o pesanti patologie che le colpiscono (riduzione degli anni di vita sana). La fragilità è legata non solamente agli anni di vita guadagnati, ma anche al conseguente consumo di farmaci, ai quali peraltro le donne rispondono in modo differente e con un più elevato carico di eventi avversi: le malattie da farmaci preferiscono le donne! La medicina è stata concepita, infatti, dai maschi per i maschi e per decenni sintomi, diagnosi, accertamenti e farmaci che “andavano bene per gli uomini” dovevano andar bene anche per le donne! Se un farmaco va bene ad un maschio, perché spendere soldi per provare che funziona anche nella donna? In questa ottica, i medicinali sono stati testati per molti anni e vengono testati tuttora quasi esclusivamente o in modo prevalente su “giovani, adulti, maschi”.
Essere uomo o donna fa molta differenza quando si parla di salute, ma questa verità non è da tutti conosciuta.

Da questa realtà dovrebbe nascere la buona regola di pensare in maniera sistematica ad una possibile patologia da farmaci quando un medico effettua una visita, in particolare se si tratta di un soggetto anziano. Bisogna combattere contro l’indifferenza per i comportamenti di ageismo, ovvero l’omissione sull'aria del “tanto è vecchio… è solo vecchio…” o del nichilismo (non c’è niente da fare…) o del fatalismo rassegnato, che privano l’anziano della possibilità di una diagnosi o di una cura. E donare tempo!
In questa visione, la relazione medico-paziente va certamente migliorata. I pazienti, sembra un paradosso, da quando hanno iniziato ad essere «curati meglio», avvertono la sensazione di essere «curati meno». La vecchia relazione medico-paziente di ottanta anni fa non esiste più e va di sicuro stimolata nei rapporti comunicativi (devo sapere come informarti e comunicarlo in modo corretto…) ed empatici (capisco cosa provi…), oltre che tecnici. La suddivisione in aree specialistiche, peraltro, è diventata il simbolo della frammentazione del sapere e del corpo del paziente, corpo che spesso viene poco “toccato” dal medico essendo diventata, invece, prioritaria la prescrizione di esami che esplorano gli organi. Esami a volte inutili, costosi o addirittura inappropriati, come le recenti notizie sul tentativo di risparmiare risorse ci ricordano. Ascoltare e toccare una persona che ne ha la necessità è un atto terapeutico!
Chi è tentato di restare chiuso nella torre d'avorio delle conoscenze deve invece imparare ad uscire, per cogliere “l'odore delle pecore”… Un medico che non percepisce “l'odore” delle persone che a lui si affidano resta un estraneo, la cui efficacia terapeutica è limitata… Sono parole recenti di Papa Francesco…

Una sorta di amaro privilegio del neurologo: molti sintomi o segni che si incontrano in neurologia possono essere indotti da farmaci e i vari sintomi, associandosi o meno fra di loro, possono dar luogo a manifestazioni di interesse neurologico che spesso assomigliano ad alcuni importanti e noti quadri clinici, come la malattia di Parkinson, le demenze, l’epilessia e altre malattie ancora, inducendo spesso all’errore di diagnosi (esempio: far diagnosi di malattia di Parkinson, degenerativa e irreversibile, invece della corretta diagnosi di Parkinsonismo da farmaci, quasi sempre reversibile!) e alla necessità di indagini a volte sofisticate, per nulla necessarie, non trascurando il contributo doloroso di un’inutile sofferenza del paziente.

L’esperienza maturata da più di quarantacinque anni come “onesto artigiano della neurologia dei vecchi” mi ha indotto, dopo le lunghe riflessioni e ripensamenti trascorsi nell’attesa di una medicina più lenta e particolarmente attenta ai bisogni dei vecchi, a pubblicare nel 2014 con Maggioli un libro, MALATI PER FORZA. Gli anziani fragili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci, e nel contempo ad affrontare in prima persona un Progetto di supervisione di anziani in strutture a loro riservate, che è possibile leggere sul sito www.alzheimerudine.it. 

Le donne sono le ospiti prevalenti nelle residenze per anziani: alla muta violenza che spesso subiscono nell’indifferenza generale è dedicato il mio lavoro. E spero anche il vostro. Anche se il compito di decidere una terapia farmacologica spetta al medico chiunque, da cittadino “semplice”, a familiare di persona malata, a qualsiasi professionista della salute, ha il compito di agire con responsabilità.
Concludo con alcuni scritti particolarmente intensi e, mi auguro, utili ad aiutarmi a far comprendere a chi si occupa di persone vulnerabili cosa significhi responsabilità.  

“Nessuno vuole più rispondere di nulla, ma chi scarica sugli altri ogni fardello, nei fatti si dichiara sostituibile e superfluo”,  Donatella Di Cesare. Corriere della sera 5 aprile 2015


“È necessario che i cittadini comuni si rendano partecipi della vita pubblica e non siano semplici spettatori”. Don Luigi Ciotti
E ancora Don Luigi Ciotti: “Responsabilità è impegno quotidiano, non indignazione saltuaria, non dolore a tragedia avvenuta”…

“Esiste una omertà di attenzione, di chi non vuol sapere per non fare la fatica di capire, distinguere, prendere posizione. Il più italiano del “farsi i fatti propri”, in mancanza di un senso dello Stato, è una forma di concorso esterno alla mafia”. Massimo Marnetto

“Nella vita non bisogna mai arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella “zona grigia” in cui tutto è abitudine. Bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi.” Rita Levi Montalcini

E infine… “Perdonatemi questa predica di virtù, perché nella rilassatezza di questi tempi bolsi la virtù stessa deve chiedere perdono al vizio, sì, deve inchinarsi a strisciare”.  Amleto di Shakespeare.

... Noi NO!



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