mercoledì 4 novembre 2015

Équipe multiprofessionale e valori comuni. Ordini, collegi e codici deontologici


(Un contributo di Editrice Dapero al Forum sulla non autosufficienza - Clicca qui per il programma)
 Da diversi anni, alcuni decenni ormai, si studia e si diffondono teorie e principi sulla correttezza e sull’efficacia del lavoro di squadra in campo sociosanitario e contemporaneamente si assiste al mantenimento e all’aggiornamento di codici deontologici di categoria. Questi codici deontologici devono essere considerati con molta attenzione, forse andrebbero riformati, forse addirittura aboliti. La regione è semplice: non rispecchiano più la realtà e soprattutto manca coerenza tra queste disposizioni concernenti il comportamento di determinate categorie e i bisogni della realtà circostante e l’elemento sostanziale della domanda. In buona sostanza essendo i codici deontologici espressione degli ordini e dei collegi professionali soffrono di tutti i “peccati” connessi proprio a tali fenomeno associativi che affondano le loro radici in una concezione molto antica e superata del rapporto tra professionista e utente.
I codici deontologici sono approvati da un organismo collettivo, ma tale organismo è però di rappresentanza di un’unica categoria di cittadini, appunto gli appartenenti all’ordine o collegio. Ne consegue che pur alla presenza di studio e valutazione collettiva non possono essere considerate norme giuridiche al pari delle leggi dello stato che sono emanate da un organismo collegiale eletto dai cittadini e quindi responsabile verso l’intera comunità. La differenza non è piccola, al di là di possibili valutazioni negative sulla politica.

In uno studio su ordini, collegi e associazionismo privato di Claudia Golino[1] si legge che la precedente politica legislativa dello Stato italiano  ha intensificato l’intervento statuale  nella regolamentazione delle professioni conferendo una configurazione pubblicistica alle organizzazioni professionali. Esistono però forti spinte da parte dell’ordinamento comunitario e dell’Autorità per la concorrenza nel senso di una deregolamentazione  del mercato dei servizi professionali. Sembra indispensabile una riforma delle professioni e quindi anche degli Ordini e dei Collegi.  Esistono inoltre pressioni di carattere sociale che vanno nella stessa direzione, soprattutto a seguito del mutamento dei modelli dei consumi delle famiglie riguardo alla globalizzazione dei mercati. Non possiamo infine dimenticare che esistono delle libere associazioni professionali nate per unione spontanea in un sistema privo di ogni riconoscimento dello Stato. Questi si possono affermare soltanto in virtù della loro utilità concreta. Esse, a differenza di Ordini e Collegi, operano in regime di concorrenza e offrono importanti garanzie cica il miglioramento della qualità degli associati.
Qual è dunque oggi il ruolo di Ordini e Collegi? Fino a che punto la vigente regolamentazione di settore, risalente in gran parte alla prima metà del secolo scorso,  è ancor oggi effettivamente funzionale  allo sviluppo delle attività professionali? Sono mere corporazioni o mirano anche alla tutela del cliente/consumatore?
Purtroppo sembra solo un “luogo giuridico” funzionale alla conservazione dei privilegi della categoria e poco utile come strumento di protezione del fruitore delle prestazioni.







[1] Claudia Golino: Dottore di ricerca in Law and Economics - Università di Bologna  “GLI ORDINI E I COLLEGI PROFESSIONALI: TENSIONI TRA DISCIPLINA CORPORATIVA E DISCIPLINA CONCORRENZIALE”  http://www.side-isle.it/ocs/viewpaper.php?id=257&cf=2